Due anni fa abbiamo inaugurato una tradizione che vogliamo riprendere quest’anno, soprattutto quest’anno, così piagato da emergenze e conflitti.
La festa della mamma nacque nell’ ‘800 dalla volontà di creare una forma di comunicazione tra culture diverse, un valore positivo comune su cui tutti fossero d’accordo, un simbolo che rappresentasse la volontà di pace condivisa da tutti i popoli. Fu scelta la figura più semplice di tutte, forse davvero l’unica immagine comune a tutte le culture: la mamma è sempre la mamma, in ogni angolo di mondo, e incarna l’amore incondizionato e la necessità di credere in un futuro meraviglioso.
Vogliamo festeggiare con voi la festa della mamma, quest’anno con più forza. Nell’unico modo che conosciamo per arrivare davvero vicino a voi, per parlarvi pur senza usare parole, per comunicarvi la nostra gratitudine per le persone che siete e che scegliete tutti i giorni di condividere con noi.
Abbiamo creato una statuina nuova, ne abbiamo scelto con cura i colori e le forme, e abbiamo immaginato i dettagli prima ancora di conoscerne del tutto l’aspetto.
Sapevamo fin da subito che questa figurina avrebbe portato in grembo dei piccoli fiori spesso tralasciati, apparentemente insignificanti, semplici e puri, umili ma molto generosi, e dal nome insolito ed evocativo: Non ti scordar di me. Non una supplica, ma una richiesta fatta con il cuore: ricorda chi ti vuole bene…
Il Non ti scordar di me è simbolo del ricordo, dell’amore e della speranza; è un fiore da riservare alle persone più care, di cui si serba l’immagine nel cuore, e secondo Plinio il Vecchio questa piantina si fa portatrice di salvezza da tutto ciò che può rattristare o addolorare. Questa simbologia così radicata nella nostra cultura ci è piaciuta subito, e ci è sembrata quanto mai adatta al momento che tutti noi stiamo vivendo.
Per prima cosa dovevamo individuare i colori, crearli se necessario, e colori che si abbinassero con garbo all’azzurro dei fiori.
Il rosa, il colore delle mamme, doveva essere sicuramente alla base, ma la stampa… la stampa ci ha impegnati per giorni. L’abito sarebbe stato sicuramente pulito e con pochi fronzoli, la texture quindi poteva essere un po’ più elaborata. Ma sarebbe stata più adatta una stampa floreale o qualcosa di geometrico? Dopo molte prove, abbiamo scelto una geometria cristallina e l’abbiamo alleggerita donandole un colore neutro: un grigio leggero sopra al rosa salmone della sfoglia.
Stabiliti i colori predominanti (il rosa, il grigio e un tocco di azzurro), abbiamo potuto definire la fisionomia e la posizione: il volto dolce e morbido, ma deciso e con i grandi occhi rivolti al domani; le mani a mostrare e proteggere tre semplici fiori di campo, offerti con generosità e ricevuti con gratitudine; il busto proteso verso di noi con leggerezza, fiero del tesoro che conserva; le gambe leggermente piegate e i piedi sormontati, quasi timidamente, quasi con riserbo, quasi ritratti in difesa della propria interiorità.
Nel suo insieme ci piaceva che la figura rappresentasse la cura per gli affetti più intimi e la volontà di proteggerli senza imprigionarli.
L’abito era già ben chiaro fin dal principio: sarebbe stato semplice ma non scontato. La tecnica creata per Milena (la prima edizione limitata per la Festa della Mamma, nel 2019) era esattamente ciò di cui ci saremmo serviti: la modellazione delle sfoglie avviene a parte, come se volessimo creare un oggetto a sé stante. Piegando le sfoglie come un origami riusciamo ad ottenere linee pulite e regolari, che una volta applicate sul corpo della figurina ne seguono l’andamento senza scomporsi. La geometria rigida del panneggio offriva inoltre la base ideale per la stampa irregolare che avevamo scelto, non appesantendola ed anzi esaltandola.
Ma un’estetica troppo austera non si addiceva al messaggio che volevamo veicolare: le mamme del resto hanno bisogno di essere intransigenti ma anche e soprattutto dolci ed affettuose. Ecco quindi che il rigore dell’abito sarebbe stato stemperato da un bavero in morbido e candido tulle, dall’arricciatura disordinata e vaporosa.
Restava da definire solo l’acconciatura. Ci abbiamo pensato a lungo: volevamo che fosse fresca ma anche retrò, il che ci sembrava una contraddizione… Come fare? D’improvviso ci sono tornate in mente le stampe tipiche dell’Art Nouveau. I toni pastello erano quelli che stavamo usando noi, i giochi di geometrie rigide ed eppure organiche ci sembravano pure affini al nostro sentire, lo sguardo preciso ma un po’ assorto delle figure era lo stesso. Le acconciature spesso richiamavano l’iconografia classica, con nastri sottili che circondavano la testa cercando di raccogliere ciocche ribelli che inevitabilmente ricadevano invece sulle spalle. Ecco l’acconciatura che avremmo ricreato: retrò ma fresca e leggera.
La modellazione anche questa volta era finita. Con molta soddisfazione potevamo mandare la nuova figurina nel forno del biquit, il rito di passaggio che trasforma l’argilla in porcellana preziosa.
Questa fase è sempre la più critica, e anche i più esperti artigiani a volte devono chinare il capo di fronte al potere del gran fuoco (proprio questo è davvero il nome del forno che cuoce la porcellana). Così tante cose possono intromettersi nella riuscita di un forno che nessuno può dire di averne il controllo totale: il troppo gas, il poco gas, l’ossigeno o l’assenza di ossigeno, gli sfiati, le fiamme troppo vicine, il calore che sale troppo rapidamente, le alte temperature mantenute troppo a lungo, il raffreddamento troppo veloce, i puntelli non ancorati perfettamente… un piccolo bullone allentato può significare la perdita di tutto ciò che il forno contiene. Avviarlo lascia sempre un sentore di apprensione, che quasi sempre si tramuta in meraviglia quando dopo un giorno ne apriamo la grande e pesante porta.
L’esperienza dei nostri artigiani e una piccola dose di fortuna quotidiana fanno si che le figurine Sibania che arrivano nelle vostre case siano intatte e senza deformazioni.
La seconda parte della creazione della nuova figura coinvolge ancora una volta i colori: era arrivato il momento di dipingere i capelli ed il volto, delineare le finiture e dare vita ai particolari.
Gli occhi avrebbero richiamato il colore dei fiori, lo stesso azzurro intenso, così come il nastro che cinge la testa. Le labbra carnose non potevano invece venire marcate da un rosso troppo violento, ma piuttosto da una tinta tenue e delicata. Le scarpe e i profili della gonna si sarebbero invece abbinati all’abito, dando un tocco di vivacità ai toni pastello con un rosso scuro ben delineato.
Infine il numero di serie, scritto a mano sulla gamba con un sottilissimo pennello, accanto alla nostra firma. Un ultimo passaggio in forno, questa volta a temperature minori (questa volta con meno apprensione).
Eccola, la nuova figurina che festeggia la festa della mamma. Siamo molto fieri di lei.
Manca ancora qualcosa però: il nome! E come per tutte le nostre statuine il nome è fondamentale.
Anche questa volta sapevamo già che il suo nome sarebbe iniziato con la lettera M, e che sarebbe stato un nome semplice ma deciso. È rimasta sotto i nostri occhi per qualche giorno, l’abbiamo guardata tra un impegno e l’altro, nelle pause, qualche sguardo durante le conversazioni. Ed infine ecco il nome, di nuovo sei lettere, tre sillabe.
Semplice e pulito, incisivo ma delicato: Monica.
“[…] quell’azzurro fiorellino dall’occhio luminoso lungo il ruscello
gemma gentile della speranza
dolce non-ti-scordar-di-me“
Samuel Taylor Coleridge – 1802